Spaventati ma impavidi, incerti ma resilienti, scettici sul futuro ma preparati ad affrontarlo: questi, per me, sono gli imprenditori ed i manager italiani che conducono le aziende del nostro Paese.
Secondo le statistiche che ho analizzato, gli imprenditori italiani tendono a concentrarsi su innovazione, sostenibilità e crescita. Un’indagine condotta da EY e SWG mostra che il 76% degli imprenditori prevede di crescere nei prossimi cinque anni, oltre a dimostrarsi attento agli investimenti in sostenibilità (96%), nuove tecnologie e intelligenza artificiale.
Molti di loro sono anche fortemente orientati al capitale umano: il 91% prevede investimenti nel personale per aumentare le competenze e trattenere talenti, nonostante una carenza significativa di figure qualificate. (EY Building Better)
Chi sono gli imprenditori italiani?
L’anagrafica degli imprenditori italiani è caratterizzata da una popolazione prevalentemente adulta e in fase di invecchiamento, con una presenza decisa di imprenditori over 50.
Più del 56% di chi conduce aziende in Italia ha infatti superato i 50 anni, con un’età media che si attesta sui 52 anni. Questo dato sottolinea l’importanza del passaggio generazionale, soprattutto nelle piccole e medie imprese (PMI) familiari, che rappresentano circa l’80% del tessuto imprenditoriale italiano secondo La Stampa.
In termini di genere, le donne costituiscono circa il 30% degli imprenditori italiani, con una maggiore concentrazione nei settori dei servizi (36%) rispetto all’industria (13,1%) secondo questo articolo di Presskit.
Le imprenditrici tendono a essere più giovani rispetto ai loro colleghi uomini: il 17,4% delle donne imprenditrici ha meno di 35 anni, contro il 13,1% degli uomini. Inoltre sono generalmente più istruite, con il 35,5% che possiede una laurea, rispetto al 21,7% degli uomini. (Qui l’indagine di Pressenza)
Quanto spendono in pubblicità?
Le aziende stanno aumentando gradualmente i loro investimenti in pubblicità, con un forte spostamento verso il digitale. Quest’anno la spesa pubblicitaria complessiva in Italia è in crescita del 6,2%, con il digitale che continua a guadagnare terreno rispetto ai mezzi tradizionali.
Su Digitech News si stima inoltre che oltre il 42% del budget promozionale delle PMI italiane sia destinato al digitale, con il restante 58% ancora dedicato a canali tradizionali come TV, radio e stampa.
Il segmento che traina maggiormente gli investimenti digitali è il video advertising, che rappresenta il 36% del totale digitale ed è cresciuto del 13% rispetto all’anno precedente secondo PrimaOnline. Inoltre, i Social Media ed il Search Marketing (SEM) continuano a essere canali prioritari, assorbendo rispettivamente il 12% e il 19% degli investimenti digitali delle PMI.
Nel frattempo, la pubblicità tradizionale, pur ridimensionata, continua a rappresentare una parte importante della spesa, specialmente per la TV, che nel 2024 vedrà una crescita del 6% secondo Mark Up. Nonostante questa evoluzione, il mercato digitale si conferma come il motore della crescita, con previsioni di ulteriore espansione nei prossimi anni.
Veniamo al dunque: di cosa hanno paura imprenditori e aziende?
Se i dati che ho condiviso qui sopra li hai letti bene, dovresti pensare che le aziende italiane non hanno affatto paura, anzi, l’esatto contrario.
Ebbene sì, ad una lettura disattenta questi dati potrebbero far pensare che le aziende del nostro Paese investono con gradualità e prudenza in pubblicità… ma non ci dicono quante riescano a cavarne “qualcosa”.
In altre parole: sono investimenti solidi e redditizi o è tutto un fuoco di paglia?
Lavorando a contatto con imprenditori e marketing manager ogni giorno, mi sono reso conto che il vero problema per gli imprenditori italiani non è tanto la paura della pubblicità digitale, quanto la complessità e la diffidenza verso di essa.
Nonostante le statistiche suggeriscano un aumento degli investimenti digitali, il quadro reale è più sfumato. Molte aziende, soprattutto le piccole e medie imprese, fanno ancora fatica a sfruttare appieno le opportunità del marketing online. E questo, a mio avviso, accade per 3 ragioni.
#1 Cattive esperienze pregresse, quindi mancanza di fiducia
Molte aziende hanno avuto esperienze negative con agenzie di marketing o strumenti digitali che non hanno portato ai risultati sperati. Spesso, questo è dovuto a un approccio superficiale o non sufficientemente preparato.
La pubblicità digitale richiede una strategia ben pianificata, la conoscenza degli strumenti e la gestione accurata delle campagne. Quando questi elementi mancano, i risultati non arrivano, alimentando la sfiducia degli imprenditori. Di certo non aiuta la presenza di professionisti inadeguati, i quali spesso promettono grandi risultati senza avere le competenze necessarie per raggiungerli.
#2 Capacità di spesa limitata e taglio del budget pubblicitario
Le PMI italiane spesso hanno budget limitati per il marketing, e la pubblicità è una delle prime voci a essere ridotta in tempi di crisi o di difficoltà finanziarie. Questo crea un circolo vizioso: le aziende non investono abbastanza in pubblicità digitale per ottenere risultati, e quando i risultati non arrivano, perdono ulteriormente fiducia in questo strumento.
La mancanza di un budget adeguato impedisce anche l’implementazione di strategie più avanzate, come l’ottimizzazione delle campagne tramite il monitoraggio dei dati o l’uso di tecnologie di automazione.
#3 Il margine di successo è ancora elevato, ma solo per chi sa investire
Contrariamente a quanto si possa pensare, il mercato digitale non è completamente saturo. Esiste ancora un ampio margine di successo per le aziende che riescono a investire nei giusti canali di promozione e vendita online.
Tuttavia questo richiede una buona comprensione degli strumenti a disposizione, una gestione professionale delle campagne e la capacità di adattarsi ai cambiamenti tecnologici e ai nuovi trend.
Il digital marketing non è una soluzione “gratuita” o a basso costo: per ottenere risultati è necessario un investimento consapevole e continuo, soprattutto nelle aree di crescita come l’advertising o la SEO.